Massimo Fergnani al Non Museo del Frattini

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MASSIMO FERGNANI
Anima: epicentro del periodo creativo
a cura di Constantin Migliorini

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In una mattina uggiosa e piovigginosa io e Claudia Canavesi, visitiamo dopo vari cambiamenti di date disponibili, Massimo Fergnani nel suo studio a Gazzada per una conversazione e qualche scatto fotografico alle opere. Questo laboratorio , dall’aspetto di officina, un pò nascosto in una sorta di corte lombarda , di fronte ai binari della ferrovia, si presenta con un massiccio, vecchio portone marrone scrostato dal tempo, per poi essere avvolti appena entrati dall’odore della polvere di marmo e gesso e quello un po' dolce e ammuffito della creta , con sottofondo una radio accesa che nessuno ascoltava e con Fergnani che salutandoci con un “benvenuti”, aveva appena sospeso un lavoro iniziato. L’impressione immediata è stata che questo luogo sia davvero l’epicentro indispensabile a Fergnani dove avviene l’atto creativo e l’inizio del racconto in tridimensione delle necessità umane più recondite e del tentativo di dare risposte al suo animo. Ogni angolo di questo spazio si presenta pieno di scaffalature con sculture , busti, teste, studi di mani, lavori su committenza, strumenti di ogni genere, scalpelli, sgorbie, ferri, per armature, arnesi, tronchi non ancora lavorati, seghe, tutto disposto in un ordine ben preciso e funzionale, mentre in alto dal soffitto un argano con catene ci controllava, e in fondo nascosto da locandine di vecchie mostre , un soppalco con una galleria di alcune sculture finite in mostra, aspettava di svelarci i lavori custoditi, insomma un luogo dove non si può aver dubbi su quale possa essere il mestiere del proprietario , se non quello nobile dello scultore. Gli atelier raccontano sempre dell’artista ospitato , infatti Fergnani è uno scultore che incarna quella qualità operativa alta e ben radicata nella miglior tradizione disciplinare del ‘900, dove la sapienza artigianale in funzione della sua specifica sensibilità poetica espressa, può passare con disinvoltura dal legno alla scultura colorata, per poi praticare il marmo, il bronzo, la terracotta, secondo un’invenzione di sintesi figurativa con forti accentuazioni simboliche e con un continuo dialogo tra figurazione e astrazione. La
scultura come dice Fergnani, è frutto anche della casualità, ma sopratutto del lavoro quotidiano. Il processo creativo parte con un’dea iniziale e con un’esigenza interiore, nata nella testa e bloccata col disegno su carta prima che essa evapori, così che faccia da timone e ne indichi la direzione, ma cominciando poi a lavorare con la materia, ciò che all’inizio appariva tutto così chiaro, acquista nuove possibilità, dettate dal fare e dalla scoperta di materiali che man mano si presentano con le loro specificità. Il legno di pino marittimo o quelle delle siepi di bosso, dove le spaccature tra le fibre possono acquisire un valore espressivo, come quel senso di lacerazione esistenziale o di vuoto, suggeriscono di volta in volta situazioni insolite non calcolate inizialmente, ma importanti e stimolanti per il divenire della forma. Ed è così che il difetto o l’intoppo, può essere inglomerato nell’idea e prenderne parte formalmente. Lo si denota anche nelle sculture di marmo di Carrara, materiale nobile e sapientemente ben lavorato da Fergnani, dove la ricerca formale gioca molto tra pieni e vuoti, per far emergere questo concetto di lacerazione e spaccatura che sempre ritornano, finalizzate a toccare tematiche dove al centro c’è sempre l’uomo col il suo pensiero di emozioni, con la trasfigurazione, l’anima, la genesi, la contorsione, l’ascolto. Il lavoro di Massimo Fergnani è onesto, nel solco della tradizione novecentesca, ammaliante e convolgente, svolto con una eccezionale conoscenza dei processi concreti del fare scultura, con consapevolezza e con l’umiltà che il duro mestiere insegna e che ci suggerisce con le opere esposte al Non Museo del Liceo Frattini, una parte della sua visione intimistica e poetica della vita.
Quando hai scoperto il fascino per la materia scultorea e quando ti sei scoperto scultore?
Sin da bambino sono sempre stato attratto dal fascino della materia. Il fare con le mani mi attraeva; iniziai costruendo giochi e incidendo a sbalzo su lastrine in rame procurate dalla mia maestra, che sin dall'inizio mi ha sempre supportato e incoraggiato. La scultura, per usare il termine vero e proprio della parola, l'ho scoperta grazie alla frequentazione dello studio dello scultore Gian Luigi Bennati, dove ho appreso oltre alle tecniche esecutive e i segreti del mestiere, quel sentimento di fare scultura che non mi ha mai lasciato.
Qual è stato il tuo percorso evolutivo.
Il mio percorso evolutivo, oltre agli anni trascorsi da Bennati è continuato frequentando il laboratorio di Corsanini di Carrara per la lavorazione del marmo, luogo in cui ho avuto modo di incontrare e conoscere diversi artisti, che mi hanno stimolato e fatto crescere, in un continuo confronto. Tra i grandi maestri del passato che più mi hanno ispirato e ai quali mi sento più vicino posso nominare Adolfo Wildt, Carlo Bonomi e Arturo Martini, tanto per citarne alcuni.
Che cos'è per te il fare scultura.
Significa comunicare tramite la materia, plasmata, modellata ,levigata, sia dura come il marmo o duttile come l’argilla. La materia mi risulta il modo più congeniale per dare forma ai moti interiori e alle esperienze accumulate, così da poter dare sfogo a ciò che genera gioia o sofferenza e creare nella tridimensionalità pezzi di vita vissuta.
Quali sono i materiali e le tecniche che senti più congeniali per la tue necessità espressive?
Ogni materia ha un suo modo di suggerire e comunicare dovuta alla sua stessa specificità e peculiarità. Sicuramente la tecnica che mi risulta più congeniale è la creta, poiché grazie alla sua natura, per la sua immediatezza e facilità di modellazione, mi permette in breve di fissare quella scintilla o idea scaturita da quell'onda interiore che mi pervade.
Come definiresti il tuo stile espressivo usando tre parole chiave e motivandone la poetica ?
Nel mio lavoro la fedeltà alla figurazione è volta ad una ricerca di intensa emozionalità attraverso una figuratività archetipica, forme dettate da pieni e vuoti, per raggiungere una stilizzazione, apparentemente semplice, ma complessa da raggiungere in una continua scoperta formale.

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