Mostre ed eventi
Alla riscoperta del Borgo di Morazzone:
Nelle mattinate del 25/26/27 novembre, in occasione delle Giornate del FAI per le Scuole,
gli studenti del nostro Liceo saranno presenti nel Borgo di Morazzone come Ciceroni.
Per gli adulti è possibile iscriversi alle visite guidate di sabato 27 tramite il seguente link
"IL MURO DI CARNE"
“Il muro di carne” (opera del 2012) è pensato come ad un dialogo tra la memoria personale e la storia dell’arte. Si affacciano in questo caso le opere del “genere” che hanno scritto la storia della pittura come quelle di Carracci “La vita di bottega di un macellaio” del 1585 o di Rembrandt con il suo “Bue macellato” del 1655 che sembra alludere all’iconografia cristiana per come è appeso o il Goya del 1812 o l’opera di Chaïm Soutine “bue squartato” del 1925. Ancora si ricorda l’opera di Francis Bacon “Figura con carne” del 1954. Il nostro Renato Guttuso della “Vucciria” del 1974, oppure per uscire dal seminato pittorico, l’opera di Jannis Kounellis del 1989 presentata a Barcellona, una lunga parete di ferro con una fila di pezzi di carne vera, quarti di bue al posto del colore, e di Damien Hirst anche, in particolare penso alla testa collocata a terra in “A Thousand Years” del 1990, e ancora Jenny Saville… Lucian Freud. La carne macellata la possiamo trovare anche nella filmografia di Jodorowky, nella “montagna sacra” incontriamo questa immagine… o nel truculento performer viennese Hermann Nitsch con le sue rappresentazioni del “Das Orgien Mysterien Theater”, opera d'arte totale che dal 1971 ha sede nel suo castello di Prinzerdorf in Austria: Nitsch nel suo manifesto dichiara che le sue azioni devono suscitare nello spettatore disgusto e ribrezzo per innescare una contro-reazione di catarsi e purificazione.
Gli esempi e i rimandi ci sono. Carni messe in bella (brutta) vista con la pittura? C’è una differenza. Il nostro autore, Constantin Migliorini, affronta il tema con un piglio e un fare tutto postmoderno. Il nostro immaginario di telespettatori o frequentatori di cinema o di serie (non ne possiamo più fare a meno), ci porta alla mente, ad esempio, anche per un confronto tra cultura alta e bassa, uno ormai storico Rocky alle prese con un quarto di carne che usa come sacco (cosa c’è di più postmoderno e kitsch di questo…), “sacco” che colpisce con bordate di pugni ben piazzati, lordandosi di sangue le mani per mettersi in bella mostra, e in forma, in occasione di una ripresa televisiva promozionale, poco prima del suo incontro di boxe con il campione del mondo dei pesi massimi. Ecco, lo stallone italiano è metafora di questo aspetto che interessa molto Constantin. La sua “carne” è quella del passaggio dalla vita alla morte, dal pascolo al supermercato (altri suoi lavori del genere, hanno l’aggiunta sempre dipinta, dell’etichetta del supermercato con relativo peso, costo, data di produzione e scadenza, ecc… in un trompe d’oeil molto ispirato, ha mescolato pittura e oggetti veri - le vaschette di polistirolo delle confezioni da banco - e ne ha presentati una serie in un lavoro intitolato “Carni - paghi 2 prendi 3” del 2007), racconta “sottovuoto” il suo incontro (vero) con questo regno di morte, che per Constantin è stato effettivamente vissuto dal vero in una grande cella frigorifera ai tempi degli studi accademici. Nell’occasione aveva realizzato una serie di fotografie da usare poi come base di partenza per le opere, foto di celle in cui erano appese decine di carcasse di animali macellati. Sono parole forti: carcasse, macello, squartare, fatto a pezzi, morte… ma è quello che è, è la parte nascosta del nostro quotidiano e anche di una parte della nostra tavola. Diretto, ma è così. La pittura può far fronte a tutto questo e raccontarlo come le sue peculiarità? Lo hanno fatto in passato quando il rapporto con l’animale e la sua fine era più ”naturale” (vedi gli artisti che ho su citato e altri), e lo fa con questo lavoro Migliorini, che traduce la carne in un muro di colore pastoso (alla Soutine direi… i dipinti di Soutine sono dolore puro. Siamo nel 1925 a Parigi; Soutine si porta nel suo studio-abitazione come “modello” un animale sventrato preso al mattatoio, e ci lavora per giorni, fino a quando la gendarmeria chiamata dai vicini interviene a sequestragli il tutto per via dei cattivissimi odori. Soutine in effetti non aveva filtri “sociali” ed era mezzo matto si dice…) intessendo la materia pittorica anche con del materiale, dei fili di corda aggiunti alla pittura, che si innervano sulla superficie come segni direzionali che vanno ad irrobustire i tracciati e le linee di forza della composizione, indizi visivi di forze espressive. Migliorini ha lavorato con delle fotografie come punto di partenza della sua indagine pittorica e ha quindi dipinto tranquillo nel suo studio (gli agenti non sono intervenuti). Lo sguardo però non era tranquillo, difatti scorre sulla superficie del colore senza appiglio, ci fa sentire attraverso i segni, la potenza dell’immagine, che è quasi vera, febbrile, che tutto è molto primitivo, e che il colore è qui una forza espressiva potente, espansiva, tanto che a tratti la traccia iconica sembra sparire e farsi astrazione. Il risultato finale è lì a ricordarci il senso della morte e dell’esistenza. La carne occupa tutto lo spazio della composizione, è protagonista assoluta, a parte lo spiraglio in un angolo del pavimento lucido che la dispone in prospettiva e la fa sentire presente e vera. Il fascino macabro di una carcassa fatta di rossi, rosati, bianchi accesi, colori a tratti sporchi di umido malessere, che da vicino diventano informe magma sanguigno, colori che parlano di pittura totale, di pittura materia. La fotografia è un medium che filtra e abbassa in parte la tensione visiva della materia, ma Migliorini la riscrive appunto rendendola tattile, presente. Una scena oscena? C’è poco da stare allegri, dal punto di vista dell’animale è sempre un dramma… ma la vita purtroppo è anche questo, e la pittura, la buona pittura riesce a farcelo sentire. Cercatevi “Meat” del 1962 di Roy Lichtenstein, artista pop, e fate un paragone: la carne, il macello, il supermercato, la piattezza della pittura pop; il senso di tutto quello scritto sopra è raffreddato dal passaggio dei media, dal simbolo, dal racconto, dalla merce e dal consumo. Carne pop senza catarsi. È volutamente la sintesi dell’immagine piatta della carne presentata nel volantino promozionale dell’esselunga. E non è la carne di Constantin.
Luca Scarabelli
Varese, Novembre 2021
Borgo antico
di Silvia Bottazzini
Il lungo poemetto - pubblicato nel 1964 - di Pier Palo Pasolini Poesia in forma di rosa si presenta come un romanzo autobiografico in versi, come un diario che diceva Pasolini “racconta punto per punto i progressi del mio pensiero e del mio umore”. Silvia Bottazzini parte da questa suggestione poetica e dalla sua attenta lettura per predisporre l’opera “Borgo antico”, giusto qualche anno dopo. L’opera è del 2015, la sua ricerca esplora da qualche anno le possibilità del segno di essere ricettacolo di sensibilità e proiezione di un’espressività improntata al recupero della memoria, del senso del quotidiano e delle statificazioni del tempo. E questo attingendo idealmente all’antico, all’arte, al mito, alla poesia e alle dinamiche personali che si accumulano nel proprio fare, nel proprio vivere. Tempi e spazi si intrecciano, passato e attualità collidono, commozione e silenzio si sfiorano, armonia e disordine si scontrano. Scrive Pasolini “…e, per questo, restare sulla vita a contemplarla, come un rottame, uno stupendo possesso che non ci appartiene”. Pasolini dice che la poesia è un mezzo per nominare le cose, un mezzo che non può mostrare le cose nella loro realtà. La coincidenza tra il nome e la cosa è artificiale e culturale (anche Magritte ha lavorato molto in questa direzione indagando la fallacia del linguaggio). Com’è una rosa in forma di poesia? Silvia nella sua opera dialoga con questo pensiero, ne fa la sua passione, l’argomento con cui confrontarsi per inventare e montare il suo mondo poetico, la sua rosa. Con “Borgo antico” e con il lavoro “gemello” sempre dello stesso anno, un polittico di cinque parti “L’ora in cui il cielo si tinge d’arancione”, compone un montaggio di situazioni, scrive una narrazione per frammenti in cui il senso della memoria è centrale. Memoria riferita al fare e ad una processualità in cui il rapporto con una materia industriale trovata si fa ricca di riferimenti poetici e pittorici. “Borgo antico" - era stato esposto in una mostra presso la Bibliothèque Tréfilerie dell’Université di Saint-Étienne nello stesso anno - è composta di scaffali metallici industriali presentati in serie, un polittico di quattro parti, collegati da un motivo astratto fatto di segni “antichi”, poi disegnato e costruito. Silvia ha disegnato sulla superficie una “storia” e quindi collocato l’opera nello spazio, difatti il lavoro non è appeso al muro, ma collocato a terra, in posizione verticale, come un vero e proprio schermo, una pittura che si fa scultura, installazione, scenografia. L’intervento dell’artista è attuato con una procedura tecnica fatta di morsure, strofinamenti, graffi, abrasioni per diminuire o aumentarne la ruvidità della superficie. Disegna così un “paesaggio urbano”, un piccolo “territorio” in cui si riconoscono una chiave di volta e una finestra (tra l’altro un territorio-ambiente che idealmente è quello fuori dalla “finestra” di casa, il luogo dell’isola del tempo ricca di pitture importanti che è Castiglione Olona, il borgo antico con la collegiata che ospita l’opera pittorica di Masolino da Panicale e la storia del Cardinale Branda Castiglioni).
Il materiale scelto per questo lavoro è quello di scarto, un rifiuto (lo scarto come reperto e materiale sedimentato è molto affascinante per chi ha la sensibilità di saperlo sfruttare in funzione artistica) che porta con sé una sua storia, in questo caso le macchie del tempo, i segni dell’uso quotidiano, quindi il tempo che è passato. L’intervento parte da queste suggestioni e da queste tracce, le rimodella, le re-inventa. A tratti si tratta anche di riscrivere le tracce sedimentate, oppure di ritrovare quelle leggerissime quasi perdute e accompagnarle a segni nuovi. È come evocare il corpo delle cose, come in altri lavori che Silvia ha realizzato in passato, in cui il disegno costruiva il corpo umano come struttura o ancora come nei lavori con soggetti come gli ambienti di interni, spazi abitati come il suo studio, in cui il gioco di linee e luci facevano emergere e immaginare silenzi e momenti di sospensione. In questo lavoro si ritrovano continuamente macule come tracce. Nelle macchie si leggono delle cose, si tratta di un fenomeno istintuale, la pareidolia, la possibilità di intravedere delle forme riconoscibili, oggetti, nelle strutture amorfe che incontriamo, ad esempio nelle nuvole o nelle macchie sui muri (i disegni ambigui in psicologia sono famosi con il test di Rorschach). A questa illusione pareidolitica, che possiamo tradurre come immagine a noi vicina… con il sembiante che appare, Silvia aggiunge del suo. Così ci si muove all’interno di un’immagine costruita sulla lamiera, guidati dal cromatismo e dalla luminosità che è sempre vibrante e cangiante a seconda dell’incidenza della luce. La macchia (…disegnare è un definire le forme, fare macchie suggerirle) appare prodotta da un evento fortuito, origina dal caos, ma l’artista se ne fa modellatore, come se toccasse l’inconscio della materia per rivelarlo, trasformandolo in emozioni e in sensazioni. È una materia ideale, una materia originaria. Ecco è qui che si ritrova anche il senso della memoria, nel momento in cui materia, colore e segno interagiscono, un po’ in modo guidato e un po’ con il fai da te del tempo, un lavoro fatto ad esempio per via delle proprietà ossidative dal materiale stesso con l’incidenza dell’uso utilitaristico del passato. Sfruttando quindi la macchia, Silvia Bottazzini attua un processo di configurazione che si apre anche al simbolico, che l’artista riesce a collegare con gli stati d’animo. Nelle forme intrinseche dei pannelli c’è un richiamo velato alle prove dell’informale da una parte, anche alla tecnica del grattage e del frottage di Max Ernst, ma senza l’appiglio del surreale, ed infine alla forza delle superfici industriali di Jannis Kounellis, “schermi” che indagano attraverso piani più o meno istoriati di materiali - elementi che molte volte diventano anche grandi installazioni - la presenza dell’uomo, la sua cultura e il rapporto con la storia, in particolare con il mito. Da rimarcare anche che il risultato finale ha un che di semplice e raffinata conformazione, e nonostante il “terremoto” sulla superficie, quasi un’epidermide tutta movimento, l’insieme appare leggero, minimale ed estatico. Le strutture disegnate sono come organismi pittorici messi in relazione tra loro e con la storia precedente, per verificare la possibilità dei segni di determinare la forma, predisponendo coscientemente un dialogo tra la regolarità e la casualità, tra il ritmo e l’artisticità, tra il vicino e il lontano, tra la dilatazione e la contrazione, e ancora tra astrazione e figurazione, un dialogo degli opposti positivo che accoglie lo sguardo e il pensiero; così il tutto è tensione, cadenza, ritmo, abbandono… fino all’effetto e alla forma desiderati. Silvia è l’agente, agisce sulle cose, adopera le cose in quanto ne è l’artefice, e lascia la sua “poiesis” nelle tracce.
THE HOLE NONMUSEO
Apre lo spazio espositivo virtuale del Liceo Frattini!!!
Per saperne di più cliccate sull'immagine.
INVERNO
Il Liceo Artistico Frattini ha dato il suo patrocinio al progetto cinematografico “Inverno”.
“Inverno” è un film (una produzione indipendente sostenuta anche con il crowfonding) che farà saltare sulla sedia lo spettatore e sobbalzare dalla paura! Un genere toccato, da questo lavoro, che tende a descrivere gli stati d’animo e le proiezioni delle nostre paure, in cui realtà e componenti fantastiche si mescolano per toccare l’ignoto, il misterioso e a volte lo spaventoso. Sarà, come dichiarato dal regista “un action/horror che strizza volutamente l'occhio ai cult horror anni 80, con tantissime citazioni e rimandi a molte pellicole di culto, ma totalmente contestualizzati nel periodo attuale”. Un gruppo numeroso di ragazzi partecipa ad un rave party illegale. Ma non ci sono più loro notizie. Sono tutti scomparsi. Non c’è più traccia di loro da giorni. Tre loro amici, con delle informazioni recuperate sui canali social, partono alla loro ricerca. Entrano in una grande fabbrica abbandonata. Dalla notte in poi… la storia continua nel buio… I ciak sono appena iniziati in diverse location della provincia di Varese e in città; la sede principale dei set è la ex torcitura di Rancio Valcuvia. Quindi sarà un film girato in casa... I principali protagonisti del film sono i giovani attori, ma già esperti, Michela Mura, Simone Murru e Alessandro Picchi (tra le sue collaborazioni quello con il regista Luca Guadagnino, come assistente per la regia e set PA nel remake di "Suspiria" del 2018 per la parte girata a Varese). Tra gli altri co-protagonisti l’attrice di teatro Irene Terzaghi e un docente del nostro Liceo… Presente a fianco del regista anche Cosima Giorgio che si occuperà del montaggio. A dirigere la fotografia sarà il videomaker Luca Alberti. Fotografo di scena, Mario loitner. Infine il sound designer Marco Giardina, sarà il compositore delle musiche. Nel cast sono coinvolte più di 100 persone, visto che molte scene previste avranno l’apporto di decine di comparse. Questo grande progetto si deve al regista, sceneggiatore e produttore Emanuele Mattana (ha anche esperienza come make-up artist per i film horror…) che ha scritto la sceneggiatura con la supervisione di Emiliano Grisostolo. Il regista è stato ospite nel nostro liceo qualche settimana fa, dove ha incontrato gli studenti di una classe dell’indirizzo multimediale. Nell’occasione ha raccontato di come sviluppa i suoi progetti, delle sue collaborazioni e della sua passione per il cinema horror, in particolare dell’opera cinematografica di autori come George A. Romero e Lamberto Bava. Mattana ha collaborato dal 2014 al 2019 anche con la casa di produzione americana The Asylum in qualità di spokeperson per l'Italia per la serie tv ZNation. Quindi è un grande esperto di Zombie… L’uscita del film “Inverno” è prevista per la fine della prossima estate e sarà presentato in anteprima a Varese al cinema MIV.
LS
GIORNATE DI PRIMAVERA DEL FAI
In occasione delle Giornate di Primavera del FAI, il 26 e 27 marzo, gli studenti del Liceo Artistico "Angelo Frattini" faranno da ciceroni presso il Borgo di Morazzone e alla Villa e Collezione Panza. E’ possibile partecipare alle visite guidate prenotandosi tramite i link riportati di seguito
MOSTRA SU JACOPO PONTORMO
Il Compianto sul Cristo morto della Cappella Capponi, nella chiesa di Santa Felicita a Firenze, è una tempera all’uovo su tavola realizzata da Jacopo Pontormo fra il 1525 e il 1528.
Gli equilibri cromatici e formali dell’opera, la forza espressiva dei gesti, degli sguardi e la collocazione spaziale quasi inafferrabile della scena sono parsi, ad alcuni alunni della classe VA grafico, elementi di indagine molti utili per un progetto interdisciplinare fra Storia dell’arte e Discipline grafiche. Individuati i punti focali dell’immagine (il fazzoletto della Maddalena, il corpo di Cristo, le mani, i movimenti e gli sguardi dei personaggi), l’equilibrio fra l’asse di simmetria e le diagonali su cui è impostata la scena e le evidenti armonie di blu e rosa cangianti del dipinto, i ragazzi hanno saputo realizzare, con passione e professionalità, lavori di indubbio valore artistico. A loro va il nostro più sentito ringraziamento per l’entusiasmo e la dedizione dimostrati, con l’augurio che il dialogo fra il patrimonio artistico del passato e la produzione artistica del presente-futuro mai si interrompa.
Prof.ssa Pacchetti Donata
Prof. Pacella Roberto
Le classi potranno visitare la mostra previa prenotazione del docente accompagnatore su un apposito modulo predisposto in aula insegnanti.
PRIMO POSTO DEL NOSTRO LICEO ALLE SELEZIONI REGIONALI DELLE OLIMPIADI DEL PATRIMONIO 2022!!
Grande soddisfazione per i risultati ottenuti dalle ragazze del Liceo Artistico “A. Frattini” che hanno partecipato alle selezioni regionali delle Olimpiadi del Patrimonio 2022 promosse da ANISA (Associazione Nazionale Insegnanti Storia dell’Arte).
La competizione, tenutasi a Milano il 15 marzo presso la sede della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio di Milano, è stata vinta dalla squadra composta da AURORA BETTARELLO (2D), ARIANNA SEDDIO (2D) e CLARA BANDERA (5E), che il 3 maggio parteciperanno alla finale nazionale a Roma presentando un elaborato attinente al tema scelto per quest’anno: Pompei, storia, recenti restauri, nuove scoperte.
Ottima prestazione anche da parte di ELLA DI CICCIO (3B), CELESTE PACELLI (3B) e FRANCESCA SILVESTRI (3H).
Complimenti alle nostre bravissime studentesse ed un sentito ringraziamento alla prof.ssa Mazzucchelli e al prof. Bertoni!
Comunicare e costruire nello spazio e nel tempo di Claudia Canavesi
Il tempo lo percepiamo attraverso lo spazio nel momento in cui ci muoviamo da qui a là, il tempo scorre con noi, noi scorriamo nel tempo. L’immagine ci permette di “vedere” il tempo, di coglierne l’attimo o la durata, anche quando passa o meglio quando è già passato. Ci sono opere che tentano di cogliere, con la giustapposizione di elementi eterogenei, la successione degli attimi del tempo nello spazio. Quello che è lontano si avvicina. Comunicare nello spazio e nel tempo, l’opera del 2005 di Claudia Canavesi, predispone all’interno della forma primaria del cerchio, il problema strutturale del rapporto tra materiale, corpo, spazio e tempo. La sua scultura è attenta al passato della storia dell’uomo, alla storia dei suoi manufatti, richiama le dinamiche socioculturali dell’uomo antico, dell’uomo mitico. Penso a certe forme dal sapore primitivo, alla storicità del senso plastico, ai principi formali che arrivano dalle espansioni delle forme naturali, alle forze primordiali e animistiche, alle pietre antiche di Ur, alla scultura che si fa immagine archetipica, quasi mitologica, a forme e forze primigenie. Il cerchio di Comunicare nello spazio e nel tempo racchiude un interno, che è un vuoto, un centro, un nucleo che predispone nel suo limite fisico un possibile eco delle parole. Parole antiche e parole moderne. Apre la scultura alla dimensione dialettica degli opposti, al dialogo tra pieno e vuoto, tra materiali leggeri e pesanti, tra bianco e nero, tra dentro e fuori…
“ Ma è il vuoto interno che fa l’essenza del vaso…”
La superficie d’appoggio (una grande lastra di ferro quadrata -altra dialettica del cerchio nel quadrato -incisa con morsura) contribuisce al racconto “mitico” con l’eco di un’immagine di un ponte. Il particolare il primo ponte costruito con un’unica arcata in ferro. Il ponte rende possibile l’attraversamento di un vuoto, unisce due parti rende comunicabile nello spazio e nel tempo due opposti, i due lati di un fiume, di una valle. Il ponte riunisce la terra e disegna il cielo. La virtù del ponte, che affascina molto Claudia Canavesi, oltre che l’idea del collegamento è ancor di più l’idea della sua possibilità di far luogo, in quanto il ponte “non viene a porsi in un luogo che c’è già, ma il luogo si origina solo a partire da quel ponte”. E se pensiamo che nell’etimologia della parola spazio troviamo anche il senso del liberare un posto per renderlo libero per un insediamento… lo spazio si ordina e si compone, diventa luogo attraversato, località (Raum).
C’è un velato omaggio alle costruzioni ottocentesche in ferro, rivoluzionarie per l’architettura e per le nuove spinte costruttive. Costruire, abitare, pensare, modellare, è giocare sulla lievità del disegno, sul contrasto tra pieni e vuoti, sulle linee scure e nere del ferro sullo sfondo chiaro del cielo (le strutture in ferro hanno più spazi vuoti che pieni, sono grandi costruzioni che lo sguardo attraversa con leggerezza). Come dice l’artista a proposto della sua ricerca "Mi affascina la fluidità ed elasticità del ponte. La sua massa è così possente e pesante ma ha una forma fluida, perché questo elemento gigante deve relazionarsi armonicamente con l'acqua del fiume e i venti e i loro impatti diversi. Le forme delle arcate sono indicate dalla natura all’ingegnere… non è poesia questa?”
Il ponte motivo di indagine è uno dei simboli dell'archeologia industriale internazionale. È il ponte San Michele, noto anche come ponte di Calusco, ponte di Paderno o ponte Röthlisberger. È un ponte ad arco in ferro, a traffico misto ferroviario e stradale, che collega i paesi di Paderno d'Adda e Calusco d'Adda attraversando una gola del fiume Adda. L’immagine del ponte è restituita dai segni ben giustapposti del disegno inciso su lastra. E tutto appare trasparente e luminoso. Sono tralicci, intrecci di sospensioni, linee e pesi dove la luce gioca con l’ombra. L’uomo crea ordine e misura intorno a sé, predispone ambienti e il suo fare ha sempre avuto una funzione mediatrice con il sistema dato della natura (anche se oggi in piena epoca dell’accelerazione probabilmente se ne è perso il controllo…). Interponendo tra sé e la natura, come mediatori, degli utensili o i vestiti… poi la parola e il linguaggio, ha creato un mondo, un luogo dove vivere e lavorare. In più con la capacità straordinaria di pensare in modo simbolico e da qui la capacità di comunicazione, l’uomo si proietta e quindi nell’arte, nella religione, nella tecnologia, nella scienza. Ecco, la civiltà e la cultura. Questo lavoro, nella sua circolarità e nei suoi segni, racconta di tutto questo, con le tracce arcaiche e moderne in rapporto dialettico, con segni che diventano linguaggio, parte del nostro sistema simbolico che ci permette di vivere in relazione comunicando. L’uomo cominciò a “scrivere” su delle piccole “sculture”. Attorno al 3000 a.C. i Sumeri crearono le prime città e sulla creta i primi caratteri che “significavano”, che “parlavano”. Erano segni cuneiformi, realizzati con incisioni, decise impressioni sulla materia realizzate con uno stilo di canna. Creta e canna. La cultura della plasticità. Materie seminali.
Sopra la lastra incisa troviamo adagiate una serie di pietre di Vicenza (bianca e gialla) e semplici forme in argilla cruda patinata, tutte caratterizzate da decisi segni di modellatura, lavoro, manipolazione. E quindi su queste forme un alfabeto, realizzato con segni tratti da svariate culture contemporanee e lettere cuneiformi. Segni che sono simboli della comunicazione, quindi lettere, dispositivi legati alla necessità del dialogo e del trasferimento del sapere e quindi della condivisione. Una parola. La scultura come pratica sociale: Canavesi ci dice che i segni che ha inciso sulle forme sono in diverse lingue e che per la scrittura di questa parola, ripetuta (che in questo testo non rivelo) hanno contribuito con la loro lingua madre molte persone, sue conoscenze e amici che si sono messi in comune, in comunicazione, intrecciando per questo lavoro lingue come lo svedese, l’arabo, il cinese, il giapponese, il greco, il punjabi, il serbo… per predisporre una babele (da svelare) a partire dal proprio vissuto e aprire così le porte all’interpretazione.
Dove si trova oggi la forma della scultura? Quello che è vicino si allontana e costruire “ponti” con il linguaggio e le forme è unire le distanze. La scultura, la pratica principe e prediletta dall’artista, è costantemente un gioco plastico in cui la tattilità e la vista muovono la materia. Claudia Canavesi pratica questo mestiere come un continuo laboratorio e studio della possibilità comunicativa delle forme.
Luca Scarabelli
Il Liceo Artistico "A. Frattini" ai "CORTISONICI"
Nell’ambito del percorso per le competenze trasversali e per l'orientamento, la classe 5G, indirizzo Audiovisivo e Multimediale, ha partecipato alle giornate di somministrazione dei corti in concorso in Cortisonici Film Festival (21, 22 e 23 aprile 2022). Nelle settimane precedenti al Festival, durante le ore di Discipline Audiovisive e Multimediali e di Laboratorio Audiovisivo e Multimediale, gli alunni, con il supporto degli insegnanti Prof. Migliorini e Prof.ssa Cappuccio, sono stati impegnati in diverse attività: hanno ideato, girato e montato uno spot pubblicitario per la sezione Cortisonici Ragazzi, hanno visionato criticamente i corti in concorso, valutandone gli aspetti positivi e negativi, le tecniche di montaggio, di ripresa, le musiche, le scelte estetiche e le sceneggiature. In veste di giuria, la classe 5G ha così assegnato, nella serata conclusiva del 23 aprile 2022, il Premio Giovani a Big di Daniele Pini con la seguente motivazione: “Big è un cortometraggio convincente fin dall’inizio e completo sia dal punto di vista della sceneggiatura che della fotografia. Quest’ultima risulta essere espressiva e incisiva nell’aspetto formale e coloristico. I colori si alternano caldi e freddi accompagnando gli sbalzi d’animo della protagonista e assumono così una connotazione simbolica che sottolinea lo stato di disagio esistenziale. I personaggi che ruotano intorno alla protagonista ci appaiono grotteschi, imbruttiti e disgustosi in contrasto con Matilde che si mostra remissiva nella sua purezza e fragilità. Il finale inaspettato riesce a sorprendere positivamente lo spettatore tenuto sospeso fino all’ultimo momento”.
Cliccare sul link per leggere l'articolo su Varesenews.
Il Liceo Artistico "A. Frattini" si è classificato al secondo posto nella finale nazionale delle Olimpiadi del Patrimonio tenutasi a Roma il 3 maggio. Complimenti alle nostre bravissime studentesse: Clara Bandera (5E), Aurora Bettarello (2D) e Arianna Seddio (2D).
Il Liceo Artistico “Angelo Frattini” di Varese, Sabato 28 Maggio 2022 alle ore 11, inaugura nei suoi spazi espositivi tre mostre personali. Le mostre saranno aperte al pubblico su appuntamento fino al 1 Luglio 2022. Allo SpazioArte, Alessio Larocchi (Milano) presenta Macchia cieca. Questi dipinti di “paesaggi/patterns mimetici” riflettono sull’idea di eterotopia. Eterotopia è termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». Eterotopico è, per esempio, lo specchio, in cui ci vediamo dove non siamo, un luogo altro, uno spazio irreale che si apre virtualmente dietro la superficie ma che, al contempo, è un posto assolutamente reale, connesso a tutto lo spazio che lo circonda. Realtà e apparenza. In macchia cieca si vedono delle maculature che disattendono il compito di rappresentare il paesaggio, macule che lo camuffano più che mostrarlo. La macula/macchia si auto-mimetizza celando la vera identità di macchia,
riassorbite nel paesaggio che avrebbero dovuto raffigurare. La forma è quella di un tondo-lente che raddoppia il senso della percezione. Il carattere stabile della forma è così solo illusoria apparenza. Larocchi coglie così identità fluide e mutevoli, con forme “instabili” che sfuggono alla nostra pretesa di classificazione, forme che ci tendono continui tranelli che chiamiamo chimere e che invece sono il loro più probabile statuto, la loro vera essenza. Un sogno vano, pure assenze, utopie appunto. “I tondi sono disposti a coppie separate da un ampio intervallo. L’interruzione indica lo spazio-tempo occorrente allo sguardo panoramico – supportato da binocolo – per cambiare punto di vista e raggiungere la successiva stazione di osservazione”. C’è qualcosa che notiamo con uno doppio sguardo e in mezzo la distanza del
dialogo tra le cose.
Presentati appunto nel 1987 in una mostra che titolava Ephemera, si proponevano di riflettere su quegli “eventi senza prestigio” propri di una contemporaneità che iniziava ad essere qualificata da un “ronzio” elettronico di cui più tardi si sarebbe avuta una piena espressione, ma anche dal “ronzio” dell’edonismo, della citazione e dei media che si vogliono nuovi. Ed ecco il moderno messo definitivamente alle spalle e l’arte come merce, l’arte come affabulazione e pastiche. Il fascino del pongo e la sua “pelle” ha permesso a Cristini di sistemare il suo punto di vista sulle nuove sfide che la pittura, o meglio l’arte andava ad
affrontare, nel senso della sua doppiezza: materiale voluttuoso e sensuale, il pongo come superficie, si fa “cosa” traspirando fisicità. Per di più molto colorata, quasi felice. Si ricorda che il pongo è stato la prima plastilina duttile a base di cera colorata e che ha appassionato generazioni di ragazzi... (poi è arrivato il Didò). Questo materiale è duttile, quindi mentre lo si plasma, valorizzandone la concretezza nella sua “messa in forma”, la sua consistenza muta, adeguandosi alla plasticità data dal calore della manipolazione che lo cambia e nel cambiare la forma plastica risulta perennemente in progress, forma precaria e inconsistente. Alla vista il colore di Tank è improbabile nella sua smaccata artificialità e al tatto non c’è mai un consolidamento definitivo. Ogni forma è provvisoria, ed ecco il tempo, lo zeitgest dell’epoca di MTV, di Ronald Reagan e della Margaret Thatcher, formalizzato. Può un oggetto raccontare tutto questo? Il pongo simula una consistenza e afferma uno stato in cui la materia, dichiarandosi come tale svela uno statuto di pura apparenza. Una perfetta metafora per Tank, che ha anticipato un tema reso centrale oggi entro la società della rete o delle reti e dei social: il rapporto tra essere e apparire, in una cultura in cui si è solo se si
appare e dove il vero si identifica con il verosimile. Dietro la maschera c’è del pongo colorato.
Ermanno Cristini si occupa del rapporto tra realtà e finzione fondando il suo lavoro artistico sull’indagine delle trasformazioni che lo statuto dell’opera d’arte subisce in ragione delle modalità delle sua circolazione. Numerose le iniziative che lo hanno visto come curatore e ideatore di mostre in cui la a dimensione relazionale è base di attuazione dei progetti, tra cui Roaming, L’ospite e l’intruso, Dialogos, Camminare l’orizzonte e altre iniziative e dell’importante spazio espositivo di ricerca indipendente RISS(E). Il suo lavoro artistico come dichiara “è un inciampare derivato dal fare. Per un momento, a occhi chiusi, inciampo in una
cosa vista da sempre ma che, da quel momento, conosco in una forma diversa. Poi ci penso su. A quel punto scatta l’elaborazione teorica che probabilmente mi porta a inciampare di nuovo andando così in altre direzioni”. Un rotolare continuo tra pensare e fare... Per molti anni è stato docente di materie d’indirizzo e figura di riferimento per l’arte contemporanea al Liceo Artistico Frattini.
scultura-struttura sotterranea che si muove idealmente in dialettica opposta alla macchina celibe di memoria duchampiana, caratterizzata dalla proiezione in sé, del movimento fine a se stesso. Si rammenta inoltre come referente linguistico all’interno del sistema dell’arte del’900 che il Grande vetro è intitolato “La sposa denudata dai suoi celibi”: un ingegnoso, curioso e intellettuale e anche complesso intreccio di meccanismi di cui non si riesce bene a vedere e capire il funzionamento e sopratutto l’utilità. In Joykix la macchina è non-celibe, non si sposa... è più vicina a quella battezzata come “macchina desiderante” dai filosofi Deleuze e Guattari. Riflessioni molto care all’artista legate alle molte domande che si è posto durante la produzione del lavoro: “Cos'è il progresso? L'abbiamo incontrato, superato e ce lo
siamo lasciato alle spalle? Potrebbe crescere qualcosa qui sotto? Oppure sarebbe un altro fallimento? Di cosa ci sarebbe bisogno ancora? Potrebbe funzionare in autonomia o avrebbe bisogno di un po' di cura? Troveremmo ciò che cercavamo? Una serie infinita di costruzioni, di macchine, di tecnica che avrebbe dovuto rendere più facile la vita umana e più felice la condizione sulla terra? E la terra? Con tutto ciò che contiene sopra e sotto? E poi? E poi ti trovi all'ultimo livello della Azovstal e pensi che forse sia meglio rimanere lì”. Ecco come cercare di ricreare un mondo separato con quello che riesci a trovare, con quello che ti inventi strada facendo, con tutto ciò che là sotto riesce a sopravvivere. E ogni tanto una incursione nel fuori per recuperare ciò che manca o potrebbe servire. E poi tornare sotto. Ma almeno non sei lì fuori. Nel delirio della guerra e dello spettacolo. Dello spettacolo della guerra. Giù nel bunker dell’underground.
Joykix, è scenografo, dalla metà degli anni Novanta lavora come progettista di allestimenti. Attivista della scena underground milanese degli anni Ottanta e Novanta, è tra i fondatori del Virus e dell’Helter Skelter di Milano. È autore di pubblicazioni indipendenti (quali Hydra Mentale), attore di performance in spazi pubblici urbani e antagonisti, compositore di sonorità industriali. In quegli anni realizza serie fotografiche e filmati in super8 indagando le aree industriali dismesse. Dal 2008 si dedica all’arte visiva realizzando progetti che utilizzano fotografia, video e installazioni. L’opera site specific “Memorie del sottosuolo” di Joykix sarà esposta fino al mese di Aprile 2023.
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IL LINGUAGGIO SEGRETO DELLA PACE
Il racconto scritto dall'alunna Localzo Martina e illustrato dalle alunne Pacelli Celeste e Primavera Laura, introduzione di Loparo Ilaria. Il testo si inserisce nell'attività di Ed. Civica svolta dagli alunni della classe 3B che prevedeva un approfondimento sul tema della pace. Per leggere il racconto cliccare sull'immagine.
L'Artistico oltre l'indifferenza
Nell’ambito del percorso per le competenze trasversali e per l'orientamento, la classe 3H, indirizzo Figurativo, coordinata dalla Prof.ssa Mariagiovanna Micali, ha collaborato con l’associazione Rughe di Gavirate all'evento Alzheimer fest… Oltre l’indifferenza presso il Chiostro di Voltorre. L’evento al Chiostro fa parte di un ricchissimo programma culturale e di intrattenimento che si svolgerà nell’arco di otto giorni: l’ultimo weekend di giugno e il primo di luglio, inoltre, le mostre saranno fruibili per tutto il mese di luglio. Gli studenti si sono cimentati nell’allestimento della mostra “Prospettive Future", frutto di un’attività svolta durante l’anno scolastico nelle ore di Discipline plastiche e scultoree e di due installazioni. La prima al centro del Chiostro "Città distorta" e l’altra collocata all’interno di una stanza completamente circondata di specchi dal titolo “Proiezione”. Le opere sono state realizzate entrambe con l’utilizzo di lenti da sole materiale di scarto di un’azienda del territorio “Mirage”. Per leggere tutto il contenuto cliccate sull'immagine in alto.